giovedì 6 marzo 2008

Coprofagia sanremese


Sanremo è un prepotente coacervo di puttanate per ultracinquantenni il cui elettroencefalogramma, se registrato nell'ambito di una qualsiasi fruizione artistica, ricorda il panorama visibile dalla facciata della Ghirlandina esposta a Nord. Non v'è un sussulto neuronale che elevi tale profilo dalla sua depressa piattezza, fosse anche solo per la lunghezza d'una modesta altura. Scolpito dalle plagianti trame sonore della musica leggera italiana dei decenni che furono, il gusto musicale del target medio di Sanremo sta alla crescita artistica italiana, come un carcinoma all'aspettativa di vita di un essere umano, o come uno stronzo di mammut di un quintale al livello d'igiene di un monolocale di 30 metri quadri. O, se preferite, come una slavina di pus eiettata nel piatto della propria conviviale sta alla possibilità di copulare con essa a fine serata. La visione di Sanremo crea immediata secchezza delle fauci, stitichezza interrotta, a tratti, da estemporanee scariche diarreiche di titaniche proporzioni che non lasciano il tempo di varcare la soglia del bagno e costringono a umilianti genuflessioni, nonché apparizioni mistiche accompagnate al desiderio più belluino di bestemmiare, il tutto condito da misantropiche escursioni nel dedalo di sensi di colpa che tale appuntamento catodico puntualmente provoca. Non è raro, infatti, chiedersi se tale sfacelo goffamente travestito da intrattenimento sia il risultato del proprio acritico stile di vita, con un processo mentale simile a quello innescato dalle pubblicità progresso che ci invitano a un consumo più responsabile di acqua ed elettricità. Il dubbio che anche noi si possa essere protagonisti di un collettivo e scriteriato consumo di idee e di buon gusto è solo la base di un rigetto peristaltico complesso e strutturato in chi ascolta tredici fottuti quintali di musica d'ogni genere, foggia e provenienza ogni mese per poi trovarsi a cogitare sugli squallidi commenti da Bar Sport (che Dio abbia in gloria ogni Bar Sport di questo cazzo di paese a forma di stivale) che il pubblico e gli addetti ai lavori sanremesi riversano nelle nostre orecchie. Tali sofismi musicofili, spesi, peraltro, su materiale fonodiarreico di siffatta portata, sono il corrispettivo sonoro di quella pletora di umanità che sono le tifoserie del calcio, anch'esse partecipi, assieme al target cui mira Sanremo, di un'unica grande missione, di un coeso moto di involontaria volontà popolare: l'immolazione della propria esistenza sull'altare della più becera, fastidiosa, cafona e acritica inutilità. E adesso, scusate, vado a spararmi una pippa.