sabato 3 novembre 2007

Porcupine Tree - Fear of a Blank Planet


Ahahah!! Rido, ebbene sì. Rido maliziosamente e sguaiatamente. Ecco, un attimo che mi riprendo. Giusto in tempo per presentarvi i Porcupine Tree, non più giovane band progressive inglese detentrice del cosiddetto "marchio Steven Wilson". Trattasi del caratteristico incedere vocale del cantante/chitarrista della band, divenuto, nell'ambiente degli amanti di prog e rock psichedelici assortiti, un indiscutibile indicatore di qualità sonora (simile agli indicatori di qualità ambientale che vedono la mia Modena in progressiva [termine quantomai azzeccato] discesa, anno dopo anno). Capita di sovente, infatti, che qualche amico mi approcci e, galvanizzato da una recentissima e illuminante scoperta musicale, mi rifili il vecchio (e mai domo) ritornello: "Sono pesissimi e il cantante SEMBRA TROPPO STEVEN WILSON!!". Al ché, incuriosito da tale sicumera, ascolto il prodotto appena incensatomi e, puntualmente, non riscontro un'ombra dell'albionico aplomb di Steve, semmai solo vaghe reminiscenze timbriche alla Mikael Askerferz (Asbrenzengl, Anferlongherz, il cantante degli Opeth, insomma). Questo per dire che, per quanto i Porcupine Tree siano divenuti, nel corso della loro ormai ventennale carriera, un termine di paragone costante nel panorama musicale da loro frequentato, rari o nulli sono stati i casi di riuscito plagio a loro danno, ma numerosissimi quelli di vile e inefficace scopiazzamento (conosco giusto il caso di una band il cui nome inizia per Donkey...uhuhuh!! Dai che scherzo...spero...). Finita la noiosa parte biografica (come dite? devo approfondire? Allora: spaccano il culo dal vivo, hanno 40 anni e suonano con l'ex batterista di Baglioni [è vero]...ecco, stavolta ho finito davvero), desidero concentrarmi sulla ragione delle squassanti (e insinunanti) risate che hanno aperto la recensione. E questo perché è bello compiacersi di aver pronunciato un vaticinio azzeccato, soprattutto se all'indirizzo dei Tool (la cui effige, un pastrocchio a metà via tra anatomia new age, art dèco ed estetica alien alla Giger, ormai campeggia sulle magliette nere di mezza Italia, giusto per ricordarci chi sono i nuovi wannabe Metallica). Il motivo di tanta premura sta nel fatto che i Porcupine Tree, dal basso della loro più limitata fetta di mercato, zitti zitti, umili e miti, lontani da deliri di onnipotenza e ancora vicini con cuore e cervello al desiderio profondo di produrre musica che emozioni, hanno partorito Fear of a Blank Planet, un concept album semplicemente splendido, pur non essendo un capolavoro. E il tutto nella metà del tempo occorso per eiaculare quella merdina di 10.000 Days. Ahahah!! Cazzo rido, poi, che i soldi fitti li fan mica quelli come i Porcupine...vabbè...


TECNICA
Chi conosce i Porcupine sa bene che il loro lavoro non si fonda su virtuosismi pretestuosi, semmai su strutture solide e sull'eccezionale gusto pop delle melodie di Wilson. Ciò nonostante, Fear of a Blank Planet si sottrae, in parte, a quelle che sono state le regole auree del passato successo dei Porcospini e la ragione è da individuarsi nel suo processo compositivo, che ha visto la partecipazione attiva di tutti i componenti della band. Un batterista eccezionale come Gavin Harrison, che viene da esperienze nell'ambito di realtà diverse e complesse quali la scena fusion e della musica leggera italiana (che, per quanto possa farvi cacare sciolto, è sorretta da tecnici e musicisti di estrema bravura e preparazione), ha così potuto infondere nell'album un'ulteriore stilla di genio esecutivo. "Eh vabbè, il batterista è fichissimo, ma quando ci apre, come per esempio nella penultima traccia, Way Out of Here, sembra di sentire i Tool!!" dirà sicuramente il fan medio della band più inflazionata del Sistema Solare, le cui influenze alternative prog hanno ammorbato irrimediabilmente ogni ambito che non si basi su un 2/4 da polka irlandese. Concedeteci qualche citazionismo stilistico, rispondo io. Dannati passatisti...anche i Nirvana sembravano i Pixies, non rompete i coglioni, và. Detto questo, il mio voto sulla tecnica dei Porcospini è molto positivo. Grandissima cura dei suoni, esecuzione eccellente (confermata da una resa live da commozione) e una giusta alchimia tra estro ed emotività in cui ogni ridondanza stilistica è messa al bando. E' vero, Il caro Steven non è un super chitarrista, ma quanto ci piace...
Voto: 7,8


CREATIVITA'
A tratti, il punto debole dei Porcospini, forse da sempre. In questo caso, qualche minimalismo di troppo finisce per allontanare l'apertura di certi pezzi dal genere rock psichedelico, quello più familiare alla band, a favore di un new prog molto inglese alla Oceansize. Si tratta, comunque, solo di episodi e, per di più, mai caratterizzati dalle ingenuità alternative rock molto 90s tipiche delle band new prog (vedi gli Amplifier, interessanti in modo discontinuo come gli Oceansize). L'incedere intenso e rigoroso delle canzoni di Fear riscatta, comunque, questi momenti di dèjà vu musicale e, ancor di più, lo fanno alcuni passaggi geniali (primo fra tutti il bridge e metà della lunghissima Anesthetize in cui due chitarre si rimbalzano con un effetto stereo asciutto e di enorme efficacia...insomma, 'na figata assoluta di riff contornata dalle sonorità psichedeliche del tastierista. Sentitelo che fate prima...a me me piace 'NA CIFRA!!). Potrei sintetizzare il mio giudizio così: Fear of a Blank Planet non è un album particolarmente originale, ma non ne ha bisogno, fidatevi.
Voto: 6,5


CARISMA
I Porcospini non hanno nemmeno un grandissimo carisma, dal vivo come su disco, lo ammetto. Steven è piuttosto silenzioso, per nulla appariscente nel vestire, vagamente efebico e sempre munito di occhiali da studioso. La sua, e quella della band in genere, è un'immagine ben lontana dalla boria caciarona che ci aspetterebbe da delle rock star attempate. Le esibizioni dei Porcospini sono, inoltre, all'insegna della staticità (non fosse per le immagini proiettate alle loro spalle). A questo punto, è lecito che qualcuno si chieda perché io adori questa band. Credo che tale passione risieda nell'umiltà con cui i Porcospini lavorano. Mai una loro canzone si concede momenti di compiaciuto gigioneggiamento, mai il passaggio o il solo di uno dei componenti mettono in mostra un cafone desiderio di ribalta, mai un ritornello manca di emozionare, di toccare corde profonde, mai un testo dimostra contenuti fini a sé stessi, prima estetici che semantici. L'aggettivo che, a mio parere, meglio descrive la musica dei Porcupine Tree è matura e Fear of a Blank Planet è l'ottimo album di un ottimo quartetto di ottimi musicisti di 40 anni che non negano in nulla la loro età e lasciano che questa si rifletta spontaneamente sul loro prodotto artistico. Quando ascolto i Porcupine Tree, capisco che l'entusiasmo della giovinezza può sublimarsi in qualcosa di superiore e che, nonostante il maggiore pauperismo della sua nuova esteriorità, può emozionare più dei pruriginosi slanci di un'età precoce (vabbè, ok, mi avete cappellato, vi sto rifilando sto polpettone perché sono vicino ai 30). Insomma, il carisma di questa band alberga in luoghi più profondi dell'epidermide.
Voto: 7,2


CONCLUSIONI
Allora, se cercate una band dannatamente solida che non strizza l'occhio a mode fugaci e capricciose e che garantisce ascolti appassionati, puntate sui Porcupine, perché vincerete la mano. Se vi piacciono le menate post-rock e la pretenziosità di chi vi rifila du' note e una scurreggia facendovi credere che sia "il nuovo corso del rock alternative di fronte a cui genuflettersi pena la perdita del rispetto della comunità di appassionati di musica impegnata" (se, insomma, il vostro gruppo preferito dell'ultimo anno sono gli Hammock, tanto per intenderci), allora rifugiatevi in un antro il più depresso possibile ad ascoltare i Necks in loop perenne. Avrete maggiori soddisfazioni. Per tutti gli altri (coloro che hanno al massimo quattro arti e una deambulazione eretta), un ottimo album. Magari privo di slanci emotivi illuminanti, ma sicuramente schietto e longevo.
Voto: 7,3


PS Scherzi a parte, gli Hammock e i Necks sono due band molto interessanti.

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