lunedì 5 novembre 2007

Mahavishnu Orchestra - Birds Of Fire


Chiariamoci subito: io non sono un passatista musicale del menga. I passatisti sono una razza che si nutre di vetusti ricordi racchiusi in forzieri la cui inviolabilità è garantita da una genia di eterni nostalgici. Costoro, racchiusi in anemiche livree appartenenti a ere geologiche aliene al presente, snocciolano il loro sapere con incrollabile saccenza (un po' come me ma senza chiose imbecilli tra le parentesi) e liquidano qualsiasi prodotto musicale successivo al 1973 (anno di uscita di Dark Side Of The Moon) con una scettica alzata di spalle, quasi sempre indice di profondo disprezzo. Ecco, questa recensione dovrebbe (ripeto, DOVREBBE) soddisfare i loro timpani avvezzi all'analogico fruscio dei giradischi. Mi accingo a parlare, infatti, dei Mahavishnu Orchestra, un eccentrico collettivo di musicisti che, tra la fine dei sixties e la prima metà dei seventies, pose le basi del rock fusion psichedelico. Due dei baldi trentenni che diedero vita al progetto furono il grande Billy Cobham (già batterista di "un certo" Miles Davis) e il mediamente grande John Mclaughlin, non esattamente la vera anima della band, ma di sicuro il collante che la tenne insieme un numero sufficiente di anni per produrre alcuni album a dir poco eccezionali. Fra questi, merita particolare attenzione Birds Of Fire (per la gioia dei passatisti, pubblicato proprio nel 1973). Si trattò del periodo di maggior fulgore dei Mahavishnu Orchestra, lo stesso in cui si esibirono in una serie di concerti al cardiopalma, oggi vere e proprie pietre miliari per ogni appassionato di psichedelia. Scioltisi nel 1976, tornarono con una formazione totalmente diversa, fatta eccezione di Mclaughlin (proprio quello tecnicamente più scrauso, ma è un parere personale e non riguarda le sue idee, quasi sempre ottime), che produsse nuove ardite registrazioni, ma non con la prorompente convinzione della formazione originale. Ma ora vediamo perché Birds Of Fire spacca il culo.


TECNICA
Massì, son bravi braverrimi ma, ragazzi, erano pur sempre gli anni '70. Voglio dire, l'album è infarcito di sporcizia sonora, imprecisioni e i vigorosi virtuosismi che avrebbero caratterizzato la tecnica sopraffina di tanti musicisti a venire non si era ancora affacciata sul mercato del rock sperimentale. Non ci son cazzi. Bisogna ammettere che Billy Cobham, con il suo doppio pedale, era un discreto precursore (anche se tale optional si era già visto in giro a partire dagli anni '50), il tastierista Jan Hammer faceva un uso generoso del suo synth e il violinista Jerry Goodman (che dio lo benedica, un musicista ECCEZIONALE) si avventurava in bizzarri assoli con il wah , ma il tutto non era certo eseguito con la pulizia per cui altri, in periodi successivi, si sarebbero fatti ammirare. Il plauso, comunque, resta. Averne di papà così.
Voto: 6,8


CREATIVITA'
Ed eccoci al nocciolo della grandezza dei Mahavishnu Orchestra. La prima volta che sentii Birds Of Fire, dovetti sincerarmi subito dell'anno della sua pubblicazione e, una volta fatto, rimasi di stucco, perché, se non fosse stato per la qualità prevedibilmente bassa della registrazione, mai avrei pensato che tali idee fossero state partorite 6 anni prima della mia nascita, quando ancora i miei scorrazzavano per prati verdi con pantaloni scampanati e vestitini in flanella con decorazioni floreali. Basta ascoltare la title track d'apertura per rendersi conto che quel riff di chitarra in loop che apre il pezzo è stato precursore non solo di infinite idee simili, ma di un nuovo modo di comporre e concepire il rock psichedelico, progressive e, più tardi, alternative. Dai, eccheccazzo, le idee dei Mahavishnu le potete sentire nei Pink Floyd come nei Chemical Brothers, nei Mars Volta come negli Ozric Tentacles, nei Franz Ferdinald come nei Lost Prophets (beh, ok, magari in questi ultimi due no). Avete presente quel tipo di band che parte con un riff superfico portante e che, su di esso, costruisce un'interminabile sequela di improvvisazioni psichedeliche (o di successioni sonore, abusatissime nell'elettronica big beat anni '90, ma non solo) intervallate da qualche bridge intrigante che spezza e conduce il pezzo a una conclusione esasperata? Ecco, tutto preso dai Mahavishnu. Poi, beh, ognuno può saltarsene su con mille esempi simili, anche precedenti a loro, ma difficilmente mi convincerà del fatto che altri abbiano anticipato i tempi con tale sorprendente estro e, soprattutto, che le loro idee abbiano tardato tanto a invecchiare da risultare, a oggi, ancora così efficaci. Non solo in tanti della nuova generazione provano sorpresa ascoltando i Mahavishnu, ma proprio non li capiscono. "Oh, maccheccazzo è sta roba sperimetale uscita quest'anno?". Abbello, quando questi suonavano, tuo padre portava i baffi alla Burt Reynolds, non so se mi spiego. Scusate la digressione, ecco il voto.
Voto: 8,2


CARISMA
Ammille. A palate. Saranno i ridicoli completi di John Mclaughlin, le forsennate cavalcate ritmiche di Cobham, sempre accompagnate da quell'espressione basita che fa molto "siamo negli anni '70 e sono in estasi esecutiva hippy", sarà il cristologico piglio di Goodman, che dal vivo regalava brividi per la magnificenza con cui faceva ondeggiare il suo archetto, sarà anche la qualità granulosa delle registrazioni video, ma i live dei Mahavishnu Orchestra sono una vera goduria, uno spettacolo di estetica seventies che più cool non si può, di quelli che t'invitano ad abbracciare un sitar e ondeggiare sulle onde di un mantra multicolore. E' buffo pensare a come meritino assai di più di essere riposte in muffose cantine anteguerra le quattro cazzatine finto sperimentali (e ormai abusatissime) con cui si pavoneggiano certi sedicenti musicisti contemporanei, rispetto alle canzoni dei Mahavishnu. Della serie, guadagnamoci il carisma spaccando il culo, non con le solite du' note e una scurreggia (sarà bene che recensisca al più presto una band minimalista uscita ques'anno, sennò entro a far parte di diritto del club dei passatisti del menga citati a inizio recensione).
Voto: 8,2



CONCLUSIONI
Che ci volete fare, sono fichissimi. Devo essere sincero, se c'è una band in cui avrei voluto suonare in quel periodo (cosa impossibile per limiti tecnici e temporali, dato che sono un chitarrista mediocre e, soprattutto, non posso viaggiare nel tempo), avrei scelto a occhi chiusi i Mahavishnu Orchestra. Passi il nome ridicolo e pretenzioso, il resto è grande storia della musica moderna e Birds Of Fire ne è parte in qualità di, forse, miglior album in studio della band. Ed ora smettete di leggere, dannazione, e andate subito a procurarvelo.
Voto: 8

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