sabato 20 gennaio 2007

Tool - 10.000 days


Ve li devo presentare? Vi devo presentare i Tool, ovvero il fenomeno losangelino dell'alternative progressive rock americano? Più che spiegarvi la genesi di una delle band stilisticamente e umanamente più costanti del firmamento prog d'oltreoceano (in più di 15 anni di carriera, la formazione è rimasta pressoché invariata, non fosse per il primo bassista che ha registrato Opiate e Undertow), preferirei concentrarmi sull'ultima fase della sua carriera. Premetto che sono un grande estimatore di Lateralus, a parer mio, l'opera più granitica, matura e completa della band. Se tu, che stai leggendo, sei il "solito fan dei Tool che dopo Aenima non ha più trovato ragioni valide per ascoltarli", allora fai due cose: smetti di leggere e vai ad ascoltare per la bilionesima volta 46&2, magari nella convinzione che il giro di basso sia il più pesissimissimisssimissimo della cazzostoria del progressive rock. Cheppalle. Ecco, se sei invece uno di quelli che ha ascoltato Lateralus lasciandolo decantare in testa negli anni, per arrivare poi alla conclusione che tale album, al contrario di Aenima, potrà essere ascoltato dai nostri figli (quelli appassionati di musica) senza far loro storcere il naso e senza farsi classificare come "l'ennesimo polpettone didascalico anni '90", allora seguimi, perché sarai d'accordo con me nel concludere che, con 10.000 days, i Tool (e non ci son cazzi che tengano) hanno cacato fuori dalla tazza.


TECNICA
Penso che questo sia il disco più tecnico dei Tool, ma la crescita di tasso tecnico non sembra aver giovato alla band. Lo sfoggio di tempi dispari e di ritmiche più serrate non conferisce alle canzoni più pathos e l'estro impresso su nastro dalla formazione si rivela troppo spesso velleitario. Il chitarrista Adam non ha certo raggiunto la notorietà grazie alle sue prodezze chitarristiche, non stiamo nemmeno a prenderci per il fondelli, và. Il problema è che la ricercata povertà delle sue composizioni stavolta lo ingabbia e, quando tenta di dare spessore ai pezzi aggiungendo note e non sentimento (per citare il mio amico Santu), il tutto puzza di escamotage.
Voto: 6


CREATIVITA'
E qua son dolori. Ma proprio dolori intestinali, perché, quando una band si autoplagia, l'effetto "raschiamento del fondo del barile" è inevitabile e chi ascolta (soprattutto dopo un esborso di alcune decine di euro) giustamente s'incazza. 5 anni d'attesa e...ci propinate ste merdine di pezzi? Dai, rigà, eccheccazzo. Massì, massì, Vicarious è caruccia, The Pot anche (a parte i gorgheggi alla Chris Cornell molto 1994 che Maynard tira fuori dal cilindro), ma le sciamaniche nenie tantriche riempi-album non mi va proprio di ciucciarmele, così come le cavalcatone rockettone tanto cattivone stile Rosetta Stoned, che di originale non ha nemmeno il titolo. E' vero, Danny Carey, come sempre, svolge il suo mestiere con sapienza e professionalità ma anche lui manca di quel trasporto, di quella visceralità che aveva fatto grande i Tool nella loro giovinezza. La verità è che tutti invecchiano, ma non tutti mantengono la freschezza creativa di uno Steve Wilson.
Voto:4,5


CARISMA
Se qualcosa resta, è proprio il carisma, anche se stavolta è più caciarone e meno evocativo. Gli ultimi live da palazzetto dello sport ne sono la prova, con la loro ressa sudata, le teste ondeggianti e acritiche, il riverbero imperante che impedisce di distinguere chiaramente i pezzi, un Maynard sempre più distante dal pubblico, gli altri tre invece sempre più compagnoni. Sembra che i Tool siano diventati gli Oasis del prog, ovvero un quartetto di wannabe messia del cazzo che credono di portare luce in una landa di desolazione musicale (che, secondo loro, sarebbe l'attuale scena rock...sé, sti cazzi) e invece compongono musica come i soliti quarantenni che pretendono di avere ancora 20 anni. Davvero un peccato, perché l'aura d'infallibilità della band è stata violata e la magia che la circondava è in parte sparita. Steve, intervieni e puniscili con il prossimo album dei Porcupine Tree, dimostrando come i bravi quarantenni fanno musica (mignoli e indici al cielo).
Voto:6,2


CONCLUSIONI
10.000 days doveva essere l'album della maturità definitiva, l'ultima tappa di un'evoluzione che non si arrestava da Undertow, la catarsi sonora, lo stadio ultimo dell'estetica Tool e invece è una cagatina. Non un disastro, ma di sicuro una palletta di sterco di capra, degna di qualche scettico ascolto e poco più. Se non fosse stato composto dai Tool, sarei stato più clemente, ma che ci volete fare, è diventata una questione personale.
Voto:5

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