martedì 9 gennaio 2007

The Mars Volta - Frances the Mute


Cedric Bixler Zavala e Omar Rodriguez sono stati voce e chitarra degli At the Drive-in, una band punk sti cazzi post-core che registrò, prima che i suoi membri si dividessero per creare altre due band (I Mars Volta, appunto, e i mediocri Sparta), un ultimo album molto energetico e, per il periodo in cui fu pubblicato, sufficientemente bizzarro e orecchiabile per attrarre schiere di alternativi stanchi del fenomeno nu-metal (che, ringraziando iddio, stava già tramontando) e alimentò il loro latente desiderio di low-fi e graffianti sonorità indie che i monolitici anni '90 avevano lungamente frustrato. In soldoni, gli At the Drive-in furono quello che oggi potrebbero essere gli Enter Shikari, ovvero un manipolo di saltellanti bamboccioni che fanno esaltare gli under 20, strappano qualche espressione di approvazione agli over 20 e lasciano gli over 30 abbastanza indifferenti.
Dal canto loro, i Marzio Volta hanno, a tutt'oggi, realizzato tre album e suonano un progressive imbastardito con latin jazz, punk, indie e altre storie pesissime, insomma, uno di quei zibaldoni musicali post-moderni che fanno gridare al miracolo ogni buon liceale affamato di novità. Desidero partire dal loro secondo lavoro, Frances the Mute, perché è stato il più discusso e, secondo il sottoscritto, resta il loro prodotto più significativo. Ho scritto significativo, non migliore...sì, perché De-Loused in the Comatorium (il loro primo album) è esemplare, è prodotto meglio (anche se in modo più standard) e le canzoni sono cristallini esempi di ineccepibile estro compositivo. Frances offre qualcosa di più. Si comincia.


TECNICA
Allora...diciamo le cose come vanno dette. Omar e Cedric sono due cazzoni talentuosi, ma indubbiamente cazzoni. Omar suona con un pezzo di legno al posto del plettro (e chi dovesse aver sentito il suo album solista non potrà che confermare tale impressione) e Cedric ha dimostrato i suoi limiti plurime volte nei live (e chi dovesse aver sentito un suo live non potrà che conferm...ecc, ecc...). Voglio dire...non lasciatevi ingannare dall'eccezionale talento di John Theodore, il batterista che li ha accompagnati negli album e in quasi tutti i live (non negli ultimi, dato che ha lasciato la band...ahah!! Subisci, vallo a trovare un altro batteraro così...), tantomeno dalla professionalità del bassista che suona in Comatorium (un certo Flea, bah...), ancor meno dall'indiscutibile bravura del tastierista (quello di colore, il suo predecessore non abbiamo fatto in tempo a valutarlo, dato che l'eroina se l'è portato via già nel 2003, porello, dico davvero. Ha partecipato alla composizione di uno degli album migliori degli ultimi 5 anni e non ha fatto in tempo a saperlo, che beffa...). No, non fatevi ingannare. Tecnicamente parlando, Omar e Cedric sono due gran cazzoni. Voglio dire, cazzoni per un ambito prettamente prog. Se andassimo su altri generi, ci troveremmo di fronte a due geni, ma per demerito dei generi in questione (non fatemeli citare, non voglio offendere gli amanti dei frenetici tempi in levare).
Non me la sto tirando, giuro, è che gli assoli di Omar nelle parti improvvisate dell'album (le meno riuscite) sono abbastanza ispirati, ma mancano di sensibilità ed estro nell'uso dello strumento, perché per improvvisare, oh, non ci sono cazzi che tengano, du' scale e qualche esercizio va fatto prima a casa, magari per qualche ora al giorno e per qualche anno. Il suo compagno Cedric ha una resa molto buona su disco, soprattutto in pezzi come Cygnus bla bla bla (sti titoli non li ricordo mai) e The Widow, ma quando il pensiero corre alle esibizioni live facilmente reperibili sulla rete il giudizio scende irrimediabilmente...ugh, brividi...peccato.
Voto: 6,5


CREATIVITA'
Beh, qua andiamo meglio. Chiarisco subito una cosa: Frances the Mute è un concept album che vi farà incazzare, perché alterna momenti solidi e ottimamente strutturati a improvvisazioni di discutibile effetto e interminabili minuti (parliamo di una buona mezzora su un album di 75 minuti circa) di echi, riverberi astrali, synth sconnessi e altre amene stronzate tanto care agli amanti dell'ermetismo noise e ambient. Alla melomane elite intellettuale cui piacciono questo tipo di cose raccomando di saltare le parti più umane dell'album per dedicarsi a una masturbatoria analisi epistemologica della semiologia sonora contenuta in questi lunghi frammenti di nonsense musicale, agli altri (quelli che ancora, mioddio, si emozionano con ballate rock stile Mind's Eye dei Wolfmother) raccomando di premere il tasto forward appena dovessero udire l'ennesimo lamento di sottofondo farsi strada tra una canzone e l'altra. Si fosse trattato di qualche minuto qua e là, li avremmo potuti definire "stacchi atmosferici volti a corroborare il legame tra flusso sonoro e mentale che ogni buon concept album sottende", ma così viene spontaneo chiamarli per quello che sono: 'na gran rottura de cazzo.
Certo, se Frances the Mute fosse stato asciugato, oggi sarebbe più godibile, forse migliore, ma proprio in virtù di questa sua poca digeribilità è molto amato o detestato ed è, a suo modo, più mediatico, a partire dalla sua copertina, che raffigura un uomo dal volto nascosto e alla guida di una macchina d’epoca, fino al suo leitmotif, che a tratti concede (ci sono momenti davvero evocativi, quasi geniali), a tratti toglie (soprattutto la voglia di vivere).
Voto: 7,5


CARISMA
Ecco, per quel che riguarda il carisma, i Marzio Volta n’an menga gninta da imparèr da gnisùn. Per rendersene conto, basta guardare le teste afro dei due fondatori della band, basta ammirare la maestria con cui Cedric fa roteare il microfono sul palco (spesso la cosa che nei live gli riesce meglio), basta contare il numero di volte che Omar rischia di slogarsi le caviglie quando imbraccia la chitarra sul palco e…soprattutto basta ascoltare questo album. Cioè, la parte umana di questo album, dimenticavo…
Ok, il talento del duo è spesso fuori controllo, caotico, quasi barocco nelle sovraincisioni e nell’uso di ammennicoli ed effettistica varia, ma il risultato, laddove viene mantenuto più rigore strutturale, c’è tutto, sia nelle canzoni più progressive e articolate, sia nelle ballate come The Widow, uno di quei pezzi che i melomani intellettuali del cazzo di prima magari snobbano con alzata di ciglio e mano sul girocollo, ma che a noi mortali che ancora ci cibiamo di amore e cicoria non possono che regalare pelli d’oca a fil di pentagramma, soprattutto nei viaggi notturni in macchina verso casa.
Voto: 8


CONCLUSIONI
Gran album. Con tanti se e tanti ma, eppure grande. Le notevoli pesantezze stilistiche lo minano ma non lo affondano, il cazzonismo di Omar e Cedric ne mettono a repentaglio la professionalità, ma non lo decapitano, l’assurda divisione in tracce imposta dai produttori ne rende più difficile la fruizione, ma non ne inficia la godibilità. Insomma, molto è stato fatto per rendere questo album una cagata di piccione, ma l’impegno profuso in tale missione delle forze del male musicale non è bastato. Omar e Cedric (questa volta) si sono quasi completamente salvati da loro stessi e noi li ringraziamo (non per del tutto per Amputechture, ma, per dirla con Michael Ende, questa è un’altra storia).
Voto: 7,5

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