lunedì 5 novembre 2007

Racconto - Gordiano


Ritengo che il collasso esistenziale giunga in corrispondenza dei nodi gordiani che ci creiamo noi stessi. E io sono al mio nodo gordiano e non mi riesce di scioglierlo, tantomeno di tagliarlo. Sdraiato sulla logora poltrona del mio salotto rimiro il mobilio gongolando nel mio smegma. Le incrostazioni di sporco mi tengono incollato al seggio e il grasso straborda impietoso da sotto la canottiera, un tempo candida e ora adombrata da macchie di sugo inusitate. Sono le cinque del mattino e premo il pulsante del braccio meccanico, che con precisione metodica infila un DVD porno nel lettore. Non posso masturbarmi a causa dei sedimenti a strati che ostruiscono l’accesso ai genitali. Orino e cago sul mio corpo. Sono un tutt’uno con le mie feci, il mio sperma, la mia saliva e i resti dei pasti che il robot mi infila in bocca con incrollabile costanza. Devo essere una visione da incubo, un mostro di consumismo reietto, figlio di un Elvis risorto e una Ivana Trump zombie. Porto la mano al telecomando e do vita al video. Due eunuchi lisci come avorio si contendono una donna che non riusciranno mai a scoparsi. Che noia. Passo un dito nella piega del sottomento e ne estraggo formine di formaggio, più amorfe che altro. Le inserisco come opali nell’intricata ragnatela di incrostazioni che copre il mio volto deformato. Il cane mi passa vicino e marca il territorio lasciando l’ennesima pozzanghera, di cui non avverto nemmeno l’odore, tanto ne sono avvezzo, sui miei piedi. La casa è un immondezzaio orrorifico. Vedo nutrie in riproduzione strisciare tra i sacchetti di patatine al formaggio e le colline di lamette usate. A volte conversano tra loro con squittii intermittenti che mi rendono difficoltoso il sonno. Ho assistito a un’intensa battaglia di conquista tra loro e un drappello di ratti in ricognizione. Il corpo di uno di questi è rimasto esposto sul monte scottex per un paio di giorni, prima che le bestiacce sudamericane decidessero di liberarsi del trofeo guadagnato nello scontro appena vinto. Divorandolo davanti ai miei occhi, beninteso. A buon ragione il cane è diffidente verso ogni cosa che si muove qui attorno. Mi ha difeso solo in un’occasione, dall’attacco di una zoccola pasciuta e feroce. Le ha staccato la testa con un rintocco preciso delle mandibole. Povera bestia, intendo il cane, legata al mio tragico destino, vittima di parassiti, cimici e vermi. Lo vedo tormentato, ne odo i guaiti tra le stanze dell’appartamento, il raspare speranzoso e indefesso tra l’immondizia che ormai occupa ogni anfratto di questa mia prigione. Spesso copro il tramestio inquietante di questa cloaca con la musica che mi è rimasta, per lo più colonne sonore di film, dagli Intoccabili a Platoon. Gli archi risuonano davvero anacronistici nella loro delicatezza e pulizia e in quei momenti mi lascio trasportare dall’emozione. E’ solo allora che mi concedo un’ispezione della gamba sinistra, laddove un’infezione ogni giorno più estesa si sta divorando l’interno coscia. A volte un afrore più virulento degli altri mi coglie alla sprovvista e, sempre più raramente scosso da conati, mi assale il dubbio che una cancrena, al contrario sempre meno curabile, mi stia rosicchiando intestino, cuore e fegato. Sono su una via senza ritorno e quindi mi godo le piccole soddisfazioni quotidiane. I riflessi baluginanti del Sole mattutino sulle creste create dalle scatole di cereali ammassate davanti alla finestra. Le colonne di formiche, vere estete del comunismo, dirette verso una pizza lasciata intatta per una ragione a me ignota. Le coriacee volontà degli scarafaggi che lottano per un pezzo di stronzo abbandonato, chissà quando, vicino ai meccanismi del mio robot. Lui, invece, non apprezza. Immoto e all’apparenza perplesso, compie le sue mansioni senza cigolii e sferragliamenti lamentosi, mosso dal suo efficiente sistema idraulico, asettico e fedele. Mi è capitato di giocare a scacchi sotto sua proposta. L’ho battuto regolarmente e lui ha reagito riponendo la scacchiera nell’apposito cassetto del mobiletto, di fronte al televisore. Me la sono risa, perché sapevo benissimo quanto l’affronto fosse stato totale per lui e ho temuto che non mi avrebbe nutrito per qualche giorno. La fortuna mi ha arriso anche in questo e il cibo è arrivato senza farsi attendere. Sciocco io ad attribuire sentimenti a una macchina. Avevo fatto lo stesso errore con le persone, che dio m’assista.





Questo racconto è stato pubblicato, assieme a un altro di mio padre, sulla raccolta noir "Colpi di testa", edizioni Noubs, fra i cui autori è presente Carlo Lucarelli.

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